"Alba": da Guido Perosino, manager pubblico, un "romanzo di formazione" nell'Italia del 1943 - '45

4' di lettura 11/05/2022 - “La mia decisione di scrivere questo libro è nata da due occasioni. La prima consisteva nel fatto che mio padre, ex - partigiano scomparso due anni fa a 92 anni, aveva lasciato ben 10 quaderni di ricordi ed esperienze, con oltre 500 pagine fittamente scritte. La seconda, è stato l’accorgermi che mia figlia (oggi ricercatrice in Giordania per l'Università di Bordeaux), quando compì 18 anni non sapeva nulla del periodo storico di cui parlo nel libro, degli anni - che oggi ci sembrano incredibili - della Resistenza e dello scontro anche fra italiani: alla pari, del resto, di tanti altro suoi coetanei, che questi temi a scuola li avevano sempre trattati poco e male".

"Del resto, io , pur piemontese, con la mia famiglia da oltre trent’anni vivo in Umbria; regione dove il fenomeno Resistenza, se facciamo eccezione per vari ex - prigionieri jugoslavi che si unirono ai nuclei partigiani presenti, ha avuto davvero poco rilievo”.

Così Guido Perosino, dirigente d’azienda e giornalista pubblicista, oggi Direttore generale e amministratore delegato di AIE, Anas International Enterprise SpA, ha aperto, alla sala stampa della Camera dei Deputati, la presentazione del suo libro di narrativa “Alba- Racconto partigiano”: Gambini editore, Attigliano (Terni), 2022, €. 13,00. “Un romanzo di formazione, sostanzialmente”, precisa l’Autore. “Che sinteticamente narra come mio padre, a soli 15 anni, costretto dalle circostanze (per evitare, cioè, conseguenze gravi da parte dei fascisti della RSI, che avevan scoperto i suoi contatti con un prete cattolico vicino ai partigiani), ma pur sempre per sua scelta, decise di unirsi alla Resistenza, in Piemonte”.

La scena è quella di Alba, cittadina del Cuneese mitico centro della Resistenza (dal 10 ottobre al 2 novembre del 1944, proprio Alba è sede della prima Repubblica partigiana indipendente: un’epopea che narrerà poi, nel dopoguerra, lo scrittore, anch’egli albese, Beppe Fenoglio, ne “I ventitre’ giorni della città di Alba”, e che terrà ben presente anche Cesare Pavese). Qui vive, coi genitori, il quindicenne protagonista del libro, che ancora frequenta la scuola: e sempre “Alba” è il nome in codice che, in base al suo luogo di nascita, gli viene dato dai partigiani, che raggiunge alla macchia su consiglio di Don Dario, il prete, responsabile di una parrocchia, che ha importanti contatti con la Resistenza.

In poco più d’un anno, si compirà la maturazione di “Alba”. Costretto a diventare adulto prima del tempo, attraverso la sconvolgente, quanto formativa, esperienza della lotta partigiana. “Stai tranquillo che non ho ammazzato nessuno”, sono le commoventi, umanissime, parole che il ragazzo rivolgerà a suo padre, in una scena da film, per le strade di Alba ormai liberata, il 1 maggio 1945.

Alla presentazione hanno partecipato l’editrice, Isabella Gambini, Antonio Tasso, Vicepresidente del Gruppo Misto della Camera (in cui rappresenta la componente MAIE. Movimento Associativo Italiani all’Estero), e Filippo Gallinella, deputato M5S, Presidente della commissione Agricoltura di Montecitorio; un messaggio di saluto è giunto da Riccardo Di Matteo, Presidente di Sinergitaly Partner, impossibilitato ad esser presente.

Analogie tra l’Italia della Resistenza (al tempo stesso guerra di liberazione, guerra civile e guerra di classe, secondo l’accurata definizione dello storico Claudio Pavone, ormai accettata dalla maggior parte degli studiosi) e le attuali vicende delI’ Ucraina in lotta con la Russia, si sono chiesti i relatori? Sì e no, ha osservato Guido Perosino. Sì, perché anche l’Ucraina sta combattendo una guerra di liberazione; no, perché nel Paese non c’è, invece, una vera guerra civile, se non nelle sole aree del Donbass e del Donetsk, da sempre filorusse. Ma soprattutto, il quadro storico complessivo è profondamente diverso. Mentre, per tornare all’ Italia del ’43 – ‘45, ha puntualizzato in ultimo Perosino, “teniamo presente che il tema fondamentale della lotta partigiana, al di là delle specifiche differenze politiche tra le varie formazioni, erano la libertà e la liberazione. Questo era lo spirito con cui, in quei giorni, ad esempio, si cantava “Bella ciao”, divenuta poi uno dei simboli della Resistenza: canzone che va vista soprattutto nell’ottica di allora, e che solo in seguito, molti anni, dopo, ha acquisito quella forte valenza ideologica, a volte eccessiva, che sappiamo.






Questo è un articolo pubblicato il 11-05-2022 alle 10:00 sul giornale del 12 maggio 2022 - 160 letture

In questo articolo si parla di cultura, roma, lazio, articolo, Fabrizio Federici

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